lunedì 23 novembre 2020

Coronavirus e comunicazione


Sto pensando al coronavirus che da quasi 1 anno ha polarizzato l'attenzione di tutto il mondo, quasi non esistesse altro argomento.

Eppure la morte per malattia c'è sempre stata, e con numeri superiori al COVID.
Solo di tumore in Italia muoiono 180.000 persone all'anno, cioè circa 500 persone al giorno.
Nel 2019 sono morte in Italia, in totale, 650.000 persone, cioè circa 1800 persone al giorno.
La moltitudine ad ogni modo non percepisce questi dati. Essi infatti non vengono forniti quotidianamente dai media in prima pagina o in prima scena con sottofondo musicale da Profondo Rosso.
Eppur si muore!

La comunicazione attuale sul COVID è terroristica e discordante. Gli esperti si rivelano non esperti e spesso entrano in contraddizione l'uno con l'altro.

Chi tenta di dar voce a un pensiero critico, che metta in discussione la narrazione comune, viene etichettato immediatamente come negazionista, e questo anche se ha un curriculum di rispetto che gli permette di osare.
Non è infatti lecito mettere in discussione il pensiero dominante. Si deve ubbidire indiscriminatamente, anche quando la ragione o la scienza parrebbero dire altro.

La più grande paura dell'essere umano è essere escuso dal proprio clan.
La paura dell'esilio e dell'emarginazione sociale premono per la standardizzazione delle menti, e a queste forze ataviche si adeguano più o meno tutti, ad eccezione di una piccola resistenza, vessata e sbeffeggiata.

Dal mio punto di vista è la comunicazione sul COVID la vera pandemia. Essa è la responsabile del disastro socio economico e sanitario, prima ancora del virus.

Mi chiedo se questa comunicazione terroristica e martellante sia voluta, da una qualche cabina di regia per creare paura nel popolo, in modo tale da poter controllare meglio le masse e saggiare la loro obbedienza, oppure se sia semplicemente il risultato di un'emotivita' non controllata.
 
Chissà.

La depressione

 

La depressione, come sappiamo, coinvolge la sfera di un narcisismo primario ferito. 
 
La depressione si differenzia dal lutto perché, mentre nel lutto la causa, la perdita, è attuale, nella depressione la perdita è riattualizzata inconsciamente. 
 
Per i motivi della vita, una ferita arcaica di perdita si riattualizza e confligge con la struttura mentale compensativa, che si era creata nel tempo, denegando l'esperienza di perdita originaria. 
 
La perdita originaria spesso non è un evento puntiforme nella traiettoria evolutiva della persona, ma piuttosto un'esperienza relazionale continuata di mancanza.
 
Nella depressione manca un contesto attuale che giustifichi il vissuto mortifero. Per questo la depressione è un buco nero di solitudine, che chi sta intorno, parenti, amici, conoscenti, non può capire. 
 
E' per la mancanza di un evento-oggetto concreto di perdita, che il depresso si sente in colpa nel non riuscire a condurre la vita pre-evento morboso. Non se lo sa spiegare. La volontà, spesso invocata malauguratamente dalle persone che stanno intorno al depresso, se non addirittura da personale sanitario, non c'entra. 
 
Direste a una madre che sta vivendo il lutto per la morte prematura di un figlio "Coraggio, fatti coraggio, mettici un po' di forza di volontà e vedrai che ne uscirai!" Non credo proprio. Credo invece che provereste empatia per il suo dolore.
 
E' facile infatti empatizzare con una sofferenza che ha una causa visibile, mentre è quasi impossibile empatizzare con una sofferenza che è apparentemente inspiegabile.
 
Le cause stanno nel profondo. 
 
Al depresso manca un appiglio visibile, che giustifichi il suo vissuto mortifero, le sue crisi di pianto slegate (apparentemente) da un oggetto, i suoi pensieri spesso autolesionisti ecc. Egli vive in uno spazio senza tempo dove pare non esserci né un prima, né, ancor di più, un dopo.
Nemmeno lui o lei avverte la ferita primaria, la quale pure c'è stata, che sta alla base della sua depressione. 
 
Se la depressione, che è stasi, non riesce a trasformarsi in lutto, quindi in un dolore trasformativo, non può sciogliersi e guarire.