mercoledì 29 novembre 2017

Spessore

Spesso mi soffermo sul concetto di ‘spessore’

Non parlo di spessore del tavolo su cui sto posando i gomiti e il mio notebook, circondato dal rumore della pioggia fuori dalle ampie finestre dell’ufficio e dagli altri click di dita che battono su altre tastiere



Colleghi di altre nazioni, giapponesi, pakistani, egiziani, che parlano con i loro collaboratori e amici lontani, in altre lingue e altre culture

Per 'spessore' intendo lo spessore di vita
E’ difficile quindi comprendere cosa intendo per ‘spessore’

Ci pensavo anche stamane, mentre con la macchina mi sono fermato allo stop vicino alla grande chiesa nel centro del paesino carsico di Basovizza, paese dove ha sede il centro di ricerca internazionale presso il quale lavoro.

All’interno la chiesa è buia e a volte ci sono andato all’ora di pranzo a contemplare il crocifisso nella penombra e a pensare alle Sue pene.

Tutto va preso con equilibrio.
Gli eccessi non sono per me. Mi destabilizzano.
Mi eccitano e pure mi attraggono, ma non sono per me.
Un limite legato ai miei retaggi d’infanzia e a vissuti troppo forti.

Lo spessore è sentire dentro di sé la propria esistenza, gli anni passati, il proprio bagaglio di vita.
Lo spessore dà sicurezza e una certa dose di autorevolezza.
Permette di dire «ho vissuto, qualcosa so, quello che ti dico ha valore, se vuoi accettalo, non è superbia, non è autoreferenzialità, ma esperienza di vita che ho attraversato».

Senza spessore si vive esclusivamente nel presente, si è bandierine che girano a seconda del vento.
Si è puntiformi e deboli.
Fragili vittime delle intemperie spesso inclementi della vita.

Qualcuno inneggia alla felicità come alla meta da raggiungere.

A me la felicità non interessa particolarmente, almeno per come oggi viene intesa questa parola.

La sento una parola vuota, fredda, evocatrice di cose frivole e superficiali.
Mi interessa invece la pienezza, la gioia autentica, l’amicizia, la solidarietà, la condivisione. Se poi questa condizione si vuol chiamare felicità, beh, allora ben venga la felicità.

Però oggi mi pare che a parlare di queste cose si sia in pochi.
Forse perché sono cose forse difficili da gestire.

E’ difficile districarsi tra i vari problemi concreti della vita e scorgere dei margini sufficientemente ampi per poter pensare a qualcos’altro che non sia sbarcare il lunario, pagare le bollette, andare d’accordo con i figli, non litigare con la moglie e chi ne ha più ne metta.
Perché quindi perdere tempo a pensare a cose astratte e considerate da tanti inutili perdite di tempo?

Però posso dire per la mia esperienza di vita che quello che conta in fondo è solo il proprio spazio interiore.

Quanto più è ampio per accogliere l’altro, per accoglierti, tanto più sono sereno, tanto più mi sento sicuro, tanto più mi sento forte, tanto più vivo in profondità, tanto più ti voglio bene.

La profondità comunque costa.

Costa che cosa?

Costa dolore.

Il dolore è il prezzo da pagare per vivere una vita a cui si permette di avere un significato.

giovedì 23 novembre 2017

Sul dolore




Sul dolore 
*

Melanie Klein, una celebre psicoanalista del secolo scorso, nella sua teoria dello sviluppo infantile ha coniato ed elaborato i termini e i costrutti di 'posizione schizoparanoide' e 'posizione depressiva'.

'Posizioni', non 'fasi' di sviluppo, ad indicare che esse sono stati della mente che possono alternarsi e aver luogo nel corso di tutta la vita, non solo nel periodo evolutivo (cioè non solo nell'infanzia).

La 'posizione schizoparanoide' di Klein, la posizione più regredita e arcaica, può essere associata al concetto di pulsione di morte di Freud, Thanatos, mentre la 'posizione depressiva', posizione caratterizzata da processi e difese intrapsichiche più evolute, si può associare al concetto freudiano di pulsione di vita, Eros.

Quindi morte, distruzione, annichilimento, involuzione, regressione, arretramento, VERSUS vita, creazione, entusiasmo, avanzamento, progressione, evoluzione.

Per poter passare dalla 'posizione schizoparanoide', distruttiva e mortifera, e accedere alla 'posizione depressiva', propria dell'elaborazione del lutto, è necessario aver introiettato, cioè immagazzinato dentro di sé, un bagaglio sufficiente di 'oggetti buoni'.

In psicoanalisi per 'oggetto' si intende un'entità attiva nel mondo interno (cioè dentro la nostra mente) percepita concretamente, quasi una persona in grado di amare, odiare, distruggere, divorare, invidiare. L''oggetto' è una persona concreta che è stata introiettata, cioè assunta internamente ad esempio; la mamma, il papà, la nonna, il nonno, che da mamma, papà, nonna, nonno esterni diventano mamma, papà, nonna, nonno interni e che ci accompagnano per tutta la vita e ci sostengono nei momenti di difficoltà. Questi 'oggetti interni' però possono assumere valenza sia positiva sia negativa. E infatti si parla di 'oggetti buoni' e 'oggetti cattivi'.     


Appare evidente che se ho avuto dei genitori sadici questi 'oggetti' interiorizzati non potranno che essere sadici e quindi entreranno in conflitto con il naturale impulso vitale di ognuno di noi alla maturazione individuale, all'evoluzione, al benessere, alla crescita.       
Gli 'oggetti' cosiddetti 'primari' sono la mamma e il papà (o chi ne ha fatto le veci nella prima infanzia) e per 'ambiente primario', si intendono le persone significative e le relazioni familiari che hanno costituito il nostro mondo nei primi anni di vita.


In parole povere avere dentro di sé un carico sufficiente di 'oggetti buoni' significa avere un rifornimento interiore sufficiente di cose buone che coccolano dolcemente l'anima, orsacchiotti pelosi e teneri, carezze della mamma, rinforzi positivi del papà, le attenzioni affettuose dei nonni, le fiabe buone che tengono lontani gli orchi ecc. ecc.

Purtroppo molte volte capita che gli orchi, gli 'oggetti cattivi', incubi e spettri interiori, i quali come gli 'oggetti buoni' sono presenti nel nostro inconscio, siano preponderanti.


Questa preponderanza di "male" impedisce al "bene" di fare il suo corso naturale verso una vita armoniosa, gioiosa, colma d'amore, di dolcezza, di gentilezza, di trasparenza.

Una preponderanza di 'male' porta inesorabilmente alla malattia, psichica o fisica che sia.
Una preponderanza di 'bene' al massimo porta a una lesione.


Lesione e malattia non sono sinonimi.

Una persona può essere lesa, ma non malata.
Mi viene alla mente come esempio attuale Alex Zanardi.

Se gli 'oggetti cattivi' sono preponderanti vince la perversione, il nascondimento, la paura, l'incertezza, il buio, il vuoto, il deserto dell'anima.

Se percepiamo un malessere astratto, un qualcosa a cui non sappiamo dare un nome dentro di noi, un qualcosa che sembra far andare tutto storto nella nostra vita, se sentiamo che ci manca qualcosa, o peggio siamo portatori di sintomi gravi quali angoscia, ansia, panico, delirio ecc. ecc., beh allora significa che qualcosa nel nostro processo evolutivo, nella nostra infanzia, è andato storto.       

E' probabile allora che ci stiamo difendendo, che abbiamo gettato lontano o nascosto gli orsacchiotti teneri, la dolcezza, la tenerezza e che abbiamo dichiariamo guerra al mondo. 
O può anche essere che dolcezza, tenerezza e amore non ne abbiamo mai ricevuti.


In questo caso amore, tenerezza, dolcezza, sono parole vuote, miraggi, aneliti, simulacri che urtano un cuore ferito e straziato, e fanno sorgere sentimenti di invidia e incredulità. 

Crediamo che se non ce li abbiamo, se non li sentiamo dentro di noi, essi non esistono e sono soltanto uno specchietto per le allodole.      

E successo invece che questi 'oggetti buoni' non li abbiamo ricevuti quando era il momento giusto. Quando ne avevamo diritto. Quando eravamo dei bambini indifesi e bisognosi di tutto, ma soprattutto di una cosa: di amore e di affetto.


Allora vince la ferita narcisistica, vince il bambino ferito, incattivito dalla mancanza d'amore, che diventato (apparentemente) adulto deve rivendicare i torti subiti.

Ma in questo modo, dichiarando guerra al mondo, in realtà non vince nessuno e perdono tutti.


Avremmo avuto bisogno di tanti 'oggetti buoni' da introiettare.         

Avremmo avuto bisogno di tenerezza, di carezze, di dolcezza, di amore.


Così la bilancia tra 'oggetti buoni' e 'oggetti cattivi' penderebbe dalla parte degli 'oggetti buoni' e auspicabilmente potremmo lasciare la 'posizione schizoparanoica' e accedere alla 'posizione depressiva' citata da Klein. Potremmo vivere il nostro dolore in una mente integrata e non rotta come un melone caduto a terra dal camion incidentalmente passato sopra una buca, piangere per le cose non ricevute.

Potremmo elaborare il lutto della perdita o nel peggiore dei casi, della mancanza assoluta di affetto, di mamma e papà, e riniziare o iniziare, forse per la prima volta, a vivere nella gioia, nella pienezza, nell'amore.

E invece ora ci troviamo in un bisogno spasmodico di sesso sregolato, di sesso nascosto che lascia solo vuoto.  

Ci troviamo ad aver bisogno del tradimento celato ad un partner che non ci soddisfa ma al quale comunque rimaniamo aggrappati.      
Ci troviamo ad aver bisogno della perversione nei rapporti.
Ci ritroviamo ad essere ammaliati dalla seduzione, nostra e dell'altro o dell’altra.
Ci ritroviamo ad essere schiavi della pornografia.   
Siamo morbosamente attratti dalle scene di sangue che quotidianamente i media ci propongono, e più o meno falsamente pensiamo tra noi e noi, "povera gente", anche se in realtà non proviamo compassione, ma piuttosto una vago senso di eccitazione e sadismo.


Eppure avremmo un gran bisogno di trasparenza, di autenticità, di chiarezza, di dolcezza.

Avremmo un gran bisogno di amore.
Avremmo bisogno di un alleato che ci ascoltasse e che ci aiutasse in un percorso autentico per attraversare il nostro dolore più antico, molto probabilmente mai rivelato nemmeno a noi stessi.


Avremmo bisogno di uno spazio libero, protetto, cullato da una dolce ninna nanna, dove poter ritornare bambini e piangere le lacrime che allora, quando era il tempo, non abbiamo potuto vivere, perché non c'era nessuno pronto ad accoglierle.

Tutto ciò non si può fare da soli, ma solo attraverso un profondo percorso interiore, doloroso e cosparso di spine che lacerano l'anima, ma che alla fine fa bene, all'interno di un setting psicoanalitico ben strutturato e protetto.

Per ricollegarsi ai concetti freudiani di Eros e Thanatos che ho espresso prima, un'analisi riuscita favorisce Eros, non Thanatos. 

Quindi un'analisi riuscita porta verso la crescita, l'amore, la dolcezza, l'affetto, la tenerezza, la responsabilità adulta.      
Non porta certo verso la morte.



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Cristiano Pedersini