mercoledì 14 novembre 2012

L'insostenibile concretezza dell'essere



Concretezza nelle sue varie interpretazioni versus ineffabilita’, versus capacita' immaginativa, versus capacita' di elaborazione mentale. I bambini oggi sono soggetti a modelli poco concreti. Modelli virtuali non in carne e ossa, ma proiettati nelle loro menti dalla luce fosforescente dei media televisivi. Modelli incistati dalla pubblicita’, dai fisici scolpiti o dalla magrezza estrema, modelli di comportamento e di vita inariditi dalla velocita’, dallo svuotamento del contenuto e anche dalla tecnologia. Modelli che spianano la strada alla frustrazione adulta perche' difficilmente potranno essere equiparati e raggiunti, proprio perche' fittizzi, creati e non reali.  C’e’ una lunga scia di anaffettivita’ dilagante. L’affetto sembra cosi' una preoccupazione. Qualche cosa da gettarsi alle spalle, come il sale che si gettava dietro per superstizione mia nonna quando le regalavano un fazzoletto nuovo. Le preoccupazioni si gettano alle spalle. Anche la responsabilita'  viene gettata alle spalle allo stesso modo. Chi dovrebbe non prende posizione e cosi' facendo non fornisce un paletto stabile di riferimento, che sia il genitore che oggi erroneamente sembra dover per forza essere amico, che sia il capo che non prende una posizione nei confronti del subalterno con il risultato che in ambito professionale e' tutto un darsi del tu e una pacca sulla spalla poco autentici. Il Lei dell'Esercito durante la mia leva da ufficiale subalterno del Genio Guastatori per lo meno non lasciava spazio a dubbi. Chiaro, preciso. Io sto qui e Lei stai li. Invece oggi e' tutto un dubbio, una pari opportunita' ed un politically correct. Concretezza. C’e’ assenza. Assenza di un qualcosa di impalpabile di cui certo si puo' anche essere in parte consapevoli, ma che per riempire il vuoto che lascia, non si hanno ne i mezzi ne le risorse interne. Un vuoto dal quale difendersi con tutto cio' di cui si dispone e con tutte le proprie forze. Le armi a disposizione per la difesa divengono dunque l'attivita' sfrenata e compulsiva e il benessere materiale e superficiale che si puo' comprare. L'automobile sempre di ultimo modello, un IPhone new generation e chi ne ha piu' ne metta, anche una famiglia apparentemente perfetta in superficie se non poi ritrovarsi con briciole di cristallo in mano quando la vita presenta il suo conto salato. Ma la cecita' a volte permane anche ai piu' ardui assalti e si continua a maledire il destino o il fato per la sfortuna. Manca la capacita' di introspezione ed autocritica. Gli occhi sono sempre puntati al fuori e mai o poco al dentro. Cosi' non sono io che elaboro il mondo e le esperienze per divenirne protagonista, ma e' il mondo stesso protagonista ed io vittima del suo protagonismo ineluttabile. Meglio credere ai maghi che divenire responsabili del proprio cammino e capire le cause del mio essere ora. Divago e non ricordo piu' cosa esattamente volevo comunicare, semmai ci dovesse essere un filo conduttore. Ieri per esempio mi e' venuto in mente un pensiero leggendo Freud: noi al novanta percento siamo la nostra fantasia. La fantasia e' eterea, impalpabile, sembra sorgere dal nulla, semmai potrei dire, dalla creativita'. Il nostro mondo  e' fatto di esperienze fantasmatiche che si sommano le une alle altre, si mescolano e si rielaborano in un processo di integrazione e successione. Fantasie, capacita' immaginativa, capacita' di analisi, capacita' di astrazione, capacita' di cogliere e di soffrire per le sfumature dell'esistenza, sono proprieta' astratte del pensiero che nel mondo di oggi a molti sembrano poco concrete e prive di utilita'. Come dire far funzionare la mente e' uno spreco di risorse. Anche il dolore e' in questa dimensione inutile e assolutamente da evitare con pratiche concrete (che so, per esempio il pensiero positivo, la pulizia dell'aura?) e infatti imperversano i santoni profetici con la risposta giusta,  i quali sanno tutto e hanno anche molto seguito. Al vuoto, al dolore ci vuole il rimedio istantaneo, la formula magica, l'abracadabra. E molti ci credono come credevo io al mago Silvan nella mia infanzia.  Peccato che cosi' facendo si perde buona parte dell'autenticita' e della profondita' dell'esistenza. Si perde la capacita' di leggere nelle pieghe del proprio vissuto, si perde la trasformazione del dolore e anche la possibilita' di accettazione della propria condizione di essere umano non onnipotente. Quello che voglio dire e' che la concretezza e la materialita' della vita, per come oggi molte persone la intendono, è una fuga dal mondo relazionale e affettivo, come dire, teniamoci l'albero ma non vogliamo sapere niente delle radici. Ma se le radici non respirano e non sono nutrite a sufficienza l'albero non cresce, anzi si avvizzisce. Invece cercare, guardarsi dentro, trovare le motivazioni autentiche, coltivarle, innaffiarle, sorreggerle, e' potenziale latente che mescolato con l'affetto fiorira' ed apparira' nella sua bellezza, in una concretezza piu' piena e significativa nella quale non si avvertira' piu' il vuoto.

mercoledì 7 novembre 2012

Atmosfere shiatsu

Occhi chiusi, una lampada tenue che riflette sul soffitto una luce calda e rilassante, profumo di rosa, una musica calma. Essere distesi, rilassare i muscoli e lasciarsi andare, liberare le tensioni. La mente vaga tra pensieri irrisori o forse importanti. Attenzione fluttuante a catturare attimi e sensazioni. Stati d'animo presenti e passati. Piccole luci che si aprono nell'oscurita'. Dialogo senza parole in uno spazio che si crea nella relazione tra due persone.