lunedì 18 maggio 2015

Identificazione proiettiva all'Agenzia delle Entrate

L'altro giorno sono stato all'agenzia delle entrate. 
Potete immaginare gli umori degli utenti: sbuffi, grugniti, insofferenza e interminabili code. Lamenti in ogni angolo. 
Devo vedere di farmi rateizzare un pagamento che mi è arrivato di tasse pregresse e conguagli assolutamente inaspettati.
Qualche migliaio di euro.
Ma non me la prendo più di tanto. C'est la vie e per fortuna ho i soldi.
Arriva il mio turno.
Mi siedo e mi trovo davanti a una ragazza sui 35 anni. Ne brutta ne bella, mora con i capelli raccolti, apparentemente sicura di se, corrazzata.
La targhetta del suo nome esibisce un "dott. nome e cognome".
Non posso non pensare in maniera forse antipatica e razzista che un Dott. messo a uno sportello a fare da commesso spartiacque con l'utenza agguerrita non può che essere frustrato. Ma è un pensiero e via.
La dottoressa in maniera apparentemente simpatica mi chiede se ho capito il perchè del conguaglio che devo versare.
In effetti avevo capito, ma mi mancavano alcuni passaggi nella comprensione, per cui ben venga la spiegazione.
Ascolto in silenzio ma lei non chiarisce i miei dubbi rimasti.
La lascio finire e poi le richiedo la spiegazione sulla questione che a me pare nebulosa.
E li ci siamo.
Si nota che è indispettita ma allo stesso tempo soddisfatta, e con fare altezzoso roteando a lato lo sguardo e la testa, butta li un "e vabbè, non ci siamo, non ci siamo, ricapitoliamo, ehhh, vabbè, vabbè..." che aveva tutta l'aria di dire al sottoscritto "sei un cerebroleso dalle scarse qualità intellettuali". Il suo è un fare molto aggressivo, mascherato da finta pazienza.
Provo dentro di me molta irritazione e la voglia di risponderle per le rime, come del resto fanno la maggior parte degli altri avventori di quegli uffici, ma mi trattengo.
Lei rispiega ma proprio non coglie il punto a me fumoso. Per cui la lascio finire, in modo che lei possa dar sfogo al suo bisogno di sentirsi brava e intelligente e subito dopo le aggiungo che quella cosa li proprio non l'ho capita.
Alche, lei si vede che si contiene ma aumenta esponenzialmente il suo attacco e con aria sempre più indispettita, ma anche soddisfatta e contenuta mi rigetta li un altro " Di nuovo? ehhhh, no, no, non ci siamo, vabbè rispieghiamo, vabbè, mah....".
Ma non parla con me al dire queste cose, lo dice tra se e se. Insomma, è a me lampante che vuole dirmi per la seconda volta che davanti a lei c'è un demente. Mi sfida.
E' una sfida silenziosa, ma proprio per questo terribilmente aggressiva. Sento molta rabbia dentro di me, molta aggressività. Però non la do a vedere, contengo e rifletto.
Ascolto di nuovo la sua spiegazione. Questa volta finalmente capisco.
Mi alzo e la saluto cordialmente. Anche lei mi saluta, ma avverto che avrebbe voluto che io l'attaccassi, che la offendessi in qualche modo, come puntualmente credo le accada.
Seppur di magra vittoria si tratta, ho vinto io, anche se mi toccherà pagare più di 2000 euro.
Ma a rate.

mercoledì 6 maggio 2015

Sulla frustrazione


La frustrazione è legata alla deprivazione.
Il bambino deprivato, abbandonato prova prima rabbia e ribellione, poi disperazione, poi per ultima rassegnazione o anche il marasma. 
E l'adulto?
Molti di noi non hanno potuto per le vicende della vita sviluppare quella maturità interiore per sopportare quella frustrazione con cui inevitabilmente ci si scontra nel corso dell'esistenza. 
Non è sempre possibile soddisfare i propri bisogni, e allora si deve differire la gratificazione. Una gratificazione che potrebbe del resto anche non arrivare mai. 
Ma, si badi bene, se da una parte la privazione porta ad un'impossibilità di maturazione, anche una eccessiva gratificazione la impedisce. Un'eccessiva gratificazione provoca fissazione dello sviluppo. In sostanza si continuerà anche in età adulta ad essere delle persone che pensano che tutto gli sia dovuto, con poca capacità di considerare i bisogni degli altri. 
E allora come si fa? 
La serenità arriva nel momento in cui si riesce a percepire uno spazio interiore in cui esistere. Uno spazio proprio, dove si può essere se stessi, con i propri timori, le proprie fragilità, i propri dolori. 
Già, i propri dolori, perchè nessuno a questi è immune. 
Lo spazio mentale non si può crearlo da soli, abbiamo bisogno della relazione. 
E in realtà, noi non possiamo nemmeno percepirci come essere estranei a una relazione. Siamo sempre stati in relazione, prima di tutto con la mamma. 
E così, se c'è stata una frattura, un'incrinatura, un mancato sviluppo nel nostro percorso di maturazione, l'unico modo per ricollegarsi a se stessi, o forse anche scoprirsi per la prima volta, è la psicoterapia, che appunto è un essere in relazione. 
Mi è capitato ieri di parlare con una persona la quale mi ha detto che a queste cose (la psicoterapia) non ci crede. 
Infatti, sempre più spesso oggi la gente vive nel concreto e non da spazio al simbolico, credendo che la soluzione ai problemi di colloca nella dimensione materiale, nel possedere qualcosa, nell'ottenere un vantaggio immediato. 
Ma lo spazio mentale è forse materiale, visibile, tangibile? 
No. Eppure è da esso che che sorge l'amore, che nasce il respiro della vita, che si dipana la creatività che poi costruirà forse una casa, una famiglia, un'opera d'arte. 
Il concreto non è altro che condensazione dell'immaginazione e di ciò che prima era fantasia.

sabato 2 maggio 2015

Oltre la notte

Ti sogno e non so chi sei. Mi osservo e non mi conosco.Apro gli occhi e cerco i frammenti del concreto per ritrovare un senso. Ma rimane il vuoto.

Che è necessario per vedere la finzione del palcoscenico che a volte è quest’esistenza.

La vita si colloca nei silenzi tra le parole, nelle cose non dette, ma sussurrate, comprese in un battito di ciglia. La trovi nei fruscii di foglie che in pochi odono o negli sguardi dei passanti che si incrociano sulla via.

Li sei tu. Li siamo noi. Li sono io. Oltre questa rabbia che mi tormenta e non mi lascia vivere. E amare.