mercoledì 2 settembre 2015

Tecnologia virtuale

Oggi viviamo in un mondo virtuale. Cosa comporta ciò?
Venti o venticinque anni fa ero di passaggio alla stazione di Modena se non ricordo male, ed ebbi un pensiero che reputai originale. Nel vedere un viaggiatore come me che era impegnato in una conversazione al cellulare pensai che la tecnologia allontana invece di unire.
Allora di cellulari ce n’erano molti di meno. Non erano certamente numerosi come adesso.
Nell’immaginario del viaggio s’ intravvede la dimensione della distanza, della scoperta, dell’avventura. Vengono alla mente incontri fatti in treno tra passeggeri dello stesso scompartimento, che per passare il tempo fanno conoscenza e iniziano a dialogare.
Oggi non è più così perché se qualcuno ha esperienza di treno sa che i cellulari in quel luogo impazzano, e il compagno di scompartimento oramai non parla più con te, ma semmai parla o gioca con lo smartphone.
Un altro aspetto del mondo virtuale è il tipo di interazione che non è più palpabile, concreta, tattile direi, ma viaggia nell’etere. E così posso diventare e immaginarti come voglio, come più gradisco.
Si perde la concretezza della realtà, cioè ciò che rende la persona, ma anche la relazione, autentica.
Se ti vedo, se ti tocco, so che esisti, e so che sei così.
Se invece ti vedo solo attraverso un monitor ti costruisco come voglio, e costruisco anche il mondo come voglio.
Mi creo appunto una realtà virtuale, che a lungo andare allontana dall’autenticità e semmai proietta in un mondo frenetico e veloce come i dati che passano attraverso una fibra ottica.
E allora è la natura a venire in soccorso magari perdendosi per i boschi, respirando a pieni polmoni una brezza che arriva dal mare, o tagliando i tralci di una vigna. Occorre staccare gli occhi dal monitor, levare le dita dalla tastiera e riportare il mondo virtuale a quello che è, senza esaltarlo e senza demonizzarlo.
La tecnologia è utile, certamente, ma per utilizzarla al meglio è necessario divenire consapevoli delle deviazioni percettive e relazionali che da essa, da questa tecnologia virtuale, possono derivare.

Perchè? Per non ritrovarsi a vivere nella fragilità e nella freddezza di un mondo, passatemi il termine forse azzardato, autistico.

venerdì 31 luglio 2015

Rivolto a chi reclama i suoi diritti a spada tratta

Mia nonna materna vide morire suo fratello gemello.
Lui era un capitano dei partigiani che fu tradito l’ultimo giorno della seconda guerra mondiale.
Lo circondarono i soldati tedeschi e gli spararono in parti non vitali.
Fu un amico a tradirlo.
Lo lasciarono morire agonizzante, solo, circondato dai nazisti, disteso a terra col sangue che gli usciva piano piano, e lento raggrumava nella terra.
Siamo polvere e polvere ritorneremo.
I parenti, tra i quali mia nonna, guardavano impotenti oltre il cerchio e lo sbarramento dei fucili, la morte e l’agonia del loro caro.
Non potevano fare nulla se non soffrire di un dolore inimmaginabile.
Certo avrebbero potuto morire a loro volta ribellandosi. Eppure scelsero la vita.
E io sono nato.

Adesso ditemi: mia nonna quella volta, che diritti aveva?

martedì 21 luglio 2015

Infiniti mondi di tristezza

Stamane ho avuto questo pensiero: dietro all'apparente sorriso si nascondono infiniti mondi di tristezza. 
I media, attraverso un lavorio di persuasione sociale fanno apparire una maggioranza felice, ma, come dice la teoria della spirale del silenzio di Elisabeth Noelle-Neumann, è pura illusione, è una maggioranza virtuale, effimera che cresce a dismisura proprio grazie alla persuasione che fa leva sulla paura di venire emarginati dalla collettività. Ergo, ci si adegua per non essere posti ai margini.
Considerato che la mente lavora per differenze, se l'altro ha di più, voglio pure io di più. Ma se tutti hanno poco, allora sarà più facile che io mi accontenti.
E per questo che durante le guerre e le carestie c'è più solidarietà. 
Nelle situazioni critiche emerge la parte più autentica di ognuno di noi, che è quella del dolore. 
Se tu provi dolore, lo posso provare anch'io. 
E non mi sentirò un emarginato, non dovrò più relegare il mio dolore dietro a finte maschere di tette al silicone, di sorrisi ammalianti, di vacanze esotiche, di macchine di lusso, di Iphone ultimo modello. 
Così, in queste situazioni, finalmente potremo abbracciarci. 
E piangere insieme.
Ed è da li che inizia il cammino. 
E' da li che comincia la vita.

domenica 12 luglio 2015

Sogni


I sogni vanno, i sogni vengono. Come l'ispirazione.
Questa notte ho sognato, ma il mio sogno non te lo racconto.
Non tutto si può condividere. Ci sono parti nascoste, buie, che a volte emergono. E allora le puoi accogliere oppure le puoi scotomizzare, ricacciare indietro. Andare avanti come se esse non fossero esistite. 
Ma è anche e forse soprattutto da esse che nasce l'ispirazione. Una volta bonificate dal tuo metabolismo, portano frutto. Una nota stonata che diviene armonica. Ma se le releghi e respingi marciranno li in fondo e la puzza prima o poi arriverà in superficie ad inquinare tutto. Non si scappa. Non c'è alcun posto dove andare, e il mondo non è abbastanza grande per nasconderti. Il mondo è qui, il mondo è ora.
Il mondo, e la vita, è in quest'alba che sta sorgendo.

giovedì 18 giugno 2015

Sulla TV


La televisione, soprattutto nei programmi per i minori, opera attraverso due processi principali: la semplificazione e la globalizzazione delle culture.
La semplificazione fa si che si perdano le sfumature dei personaggi ed essi appaiono così o buoni o cattivi, senza che esista una via di mezzo, un compromesso tra queste due qualità.
La globalizzazione delle culture è quel processo attraverso il quale lo spettatore ha accesso a valori e consuetudini che non sono propri della sua cultura. 
Si può osservare ad esempio tutto ciò nei cartoni animati. Nei cartoons americani (e più in generale nei programmi Made in US) i valori sono quelli della realizzazione personale, della scalata sociale, del sogno americano ecc. , in quelli giapponesi i valori che vengono proposti sono diversi e si rifanno alla visione scintoista. Sono ad esempio il sacrificio personale, la ricerca dell'assoluto, la collettività più importante dell'individualità e così via.
Varie teorie si sono occupate dell'influenza della TV, sia sui minori che sugli adulti.
Alcune vedono l'influenza del piccolo schermo in maniera positiva, altre negativa, e altre ancora si collocano in una via di mezzo.
Personalmente propendo per la negatività della televisione.
La televisione influenza in vari modi la mente dei fruitori e crea l'opinione pubblica condivisa.
Ha capacità di penetrazione e persuasione, facendo credere allo spettatore di avere sufficienti capacità di critica e giudizio, mentre invece le griglie di interpretazione sono dettate dal mezzo stesso.
C'è una teoria che mi ha incuriosito particolarmente tra le tante, ed è quella della spirale del silenzio, di Elisabeth Noelle-Neumann. La tesi centrale della spirale del silenzio è la seguente: il costante, contemporaneo, ridondante e contorto afflusso di notizie da parte dei media può, col passare del tempo, causare un'incapacità nel pubblico di selezionare e comprendere i processi di percezione e di influenza dei media; in questo modo verrebbe a formarsi la cosiddetta spirale del silenzio. 
In questa situazione la persona singola ha il timore costante di essere una minoranza rispetto all'opinione pubblica generale. Per non rimanere isolata, la persona anche se con un'idea diversa rispetto alla massa, non la mostra, e cerca di conformarsi con il resto dell'opinione generale. 
In tal modo l'opinione della persona si conforma con l'opinione dominante.
Questo meccanismo, questa spirale, opera uno spostamento di opinione, che nasce dal fatto che un gruppo appare più forte di quanto non sia in realtà, mentre coloro che hanno l’opinione diversa appaiono più deboli di quanto non siano effettivamente. Il risultato è un’illusione ottica o acustica, riguardante la situazione effettiva della maggioranza.
Tutto ciò si può ben vedere ai giorni nostri.


lunedì 18 maggio 2015

Identificazione proiettiva all'Agenzia delle Entrate

L'altro giorno sono stato all'agenzia delle entrate. 
Potete immaginare gli umori degli utenti: sbuffi, grugniti, insofferenza e interminabili code. Lamenti in ogni angolo. 
Devo vedere di farmi rateizzare un pagamento che mi è arrivato di tasse pregresse e conguagli assolutamente inaspettati.
Qualche migliaio di euro.
Ma non me la prendo più di tanto. C'est la vie e per fortuna ho i soldi.
Arriva il mio turno.
Mi siedo e mi trovo davanti a una ragazza sui 35 anni. Ne brutta ne bella, mora con i capelli raccolti, apparentemente sicura di se, corrazzata.
La targhetta del suo nome esibisce un "dott. nome e cognome".
Non posso non pensare in maniera forse antipatica e razzista che un Dott. messo a uno sportello a fare da commesso spartiacque con l'utenza agguerrita non può che essere frustrato. Ma è un pensiero e via.
La dottoressa in maniera apparentemente simpatica mi chiede se ho capito il perchè del conguaglio che devo versare.
In effetti avevo capito, ma mi mancavano alcuni passaggi nella comprensione, per cui ben venga la spiegazione.
Ascolto in silenzio ma lei non chiarisce i miei dubbi rimasti.
La lascio finire e poi le richiedo la spiegazione sulla questione che a me pare nebulosa.
E li ci siamo.
Si nota che è indispettita ma allo stesso tempo soddisfatta, e con fare altezzoso roteando a lato lo sguardo e la testa, butta li un "e vabbè, non ci siamo, non ci siamo, ricapitoliamo, ehhh, vabbè, vabbè..." che aveva tutta l'aria di dire al sottoscritto "sei un cerebroleso dalle scarse qualità intellettuali". Il suo è un fare molto aggressivo, mascherato da finta pazienza.
Provo dentro di me molta irritazione e la voglia di risponderle per le rime, come del resto fanno la maggior parte degli altri avventori di quegli uffici, ma mi trattengo.
Lei rispiega ma proprio non coglie il punto a me fumoso. Per cui la lascio finire, in modo che lei possa dar sfogo al suo bisogno di sentirsi brava e intelligente e subito dopo le aggiungo che quella cosa li proprio non l'ho capita.
Alche, lei si vede che si contiene ma aumenta esponenzialmente il suo attacco e con aria sempre più indispettita, ma anche soddisfatta e contenuta mi rigetta li un altro " Di nuovo? ehhhh, no, no, non ci siamo, vabbè rispieghiamo, vabbè, mah....".
Ma non parla con me al dire queste cose, lo dice tra se e se. Insomma, è a me lampante che vuole dirmi per la seconda volta che davanti a lei c'è un demente. Mi sfida.
E' una sfida silenziosa, ma proprio per questo terribilmente aggressiva. Sento molta rabbia dentro di me, molta aggressività. Però non la do a vedere, contengo e rifletto.
Ascolto di nuovo la sua spiegazione. Questa volta finalmente capisco.
Mi alzo e la saluto cordialmente. Anche lei mi saluta, ma avverto che avrebbe voluto che io l'attaccassi, che la offendessi in qualche modo, come puntualmente credo le accada.
Seppur di magra vittoria si tratta, ho vinto io, anche se mi toccherà pagare più di 2000 euro.
Ma a rate.

mercoledì 6 maggio 2015

Sulla frustrazione


La frustrazione è legata alla deprivazione.
Il bambino deprivato, abbandonato prova prima rabbia e ribellione, poi disperazione, poi per ultima rassegnazione o anche il marasma. 
E l'adulto?
Molti di noi non hanno potuto per le vicende della vita sviluppare quella maturità interiore per sopportare quella frustrazione con cui inevitabilmente ci si scontra nel corso dell'esistenza. 
Non è sempre possibile soddisfare i propri bisogni, e allora si deve differire la gratificazione. Una gratificazione che potrebbe del resto anche non arrivare mai. 
Ma, si badi bene, se da una parte la privazione porta ad un'impossibilità di maturazione, anche una eccessiva gratificazione la impedisce. Un'eccessiva gratificazione provoca fissazione dello sviluppo. In sostanza si continuerà anche in età adulta ad essere delle persone che pensano che tutto gli sia dovuto, con poca capacità di considerare i bisogni degli altri. 
E allora come si fa? 
La serenità arriva nel momento in cui si riesce a percepire uno spazio interiore in cui esistere. Uno spazio proprio, dove si può essere se stessi, con i propri timori, le proprie fragilità, i propri dolori. 
Già, i propri dolori, perchè nessuno a questi è immune. 
Lo spazio mentale non si può crearlo da soli, abbiamo bisogno della relazione. 
E in realtà, noi non possiamo nemmeno percepirci come essere estranei a una relazione. Siamo sempre stati in relazione, prima di tutto con la mamma. 
E così, se c'è stata una frattura, un'incrinatura, un mancato sviluppo nel nostro percorso di maturazione, l'unico modo per ricollegarsi a se stessi, o forse anche scoprirsi per la prima volta, è la psicoterapia, che appunto è un essere in relazione. 
Mi è capitato ieri di parlare con una persona la quale mi ha detto che a queste cose (la psicoterapia) non ci crede. 
Infatti, sempre più spesso oggi la gente vive nel concreto e non da spazio al simbolico, credendo che la soluzione ai problemi di colloca nella dimensione materiale, nel possedere qualcosa, nell'ottenere un vantaggio immediato. 
Ma lo spazio mentale è forse materiale, visibile, tangibile? 
No. Eppure è da esso che che sorge l'amore, che nasce il respiro della vita, che si dipana la creatività che poi costruirà forse una casa, una famiglia, un'opera d'arte. 
Il concreto non è altro che condensazione dell'immaginazione e di ciò che prima era fantasia.

sabato 2 maggio 2015

Oltre la notte

Ti sogno e non so chi sei. Mi osservo e non mi conosco.Apro gli occhi e cerco i frammenti del concreto per ritrovare un senso. Ma rimane il vuoto.

Che è necessario per vedere la finzione del palcoscenico che a volte è quest’esistenza.

La vita si colloca nei silenzi tra le parole, nelle cose non dette, ma sussurrate, comprese in un battito di ciglia. La trovi nei fruscii di foglie che in pochi odono o negli sguardi dei passanti che si incrociano sulla via.

Li sei tu. Li siamo noi. Li sono io. Oltre questa rabbia che mi tormenta e non mi lascia vivere. E amare.


lunedì 20 aprile 2015

Sul lutto (in senso lato, cioè lutto come separazione).


Un po' per qualche vicissitudine di oggi su dei gruppi FB, un po' perchè mi ci soffermo spesso, oggi sto pensando al lutto.

E' un passaggio inevitabile nel percorso della maturazione.
Si può forse scegliere a livello inconsapevole di non viverlo, ma si rimane ancorati a una dimensione immatura e stretta. Asfittica. Claustrofobica.
L'alternativa è il dolore da provare, sentire, che ti si contorce nelle budella, o l'angoscia nella mente, che pulsa di paura per l'incertezza, di terrore a volte, e di panico. 
Un sentimento di attesa di un qualcosa di ineluttabile e impalpabile a cui non sai dare concretezza. 
Mentre il dolore un nome e un aspetto ce l'ha. 
La strada della consapevolezza porta a vivere il dolore, anche della solitudine, perche è nella solitudine che si trova la propria dimensione, per poi ritornare alla luce. 
E' un percorso dall'oscurità al chiarore, attraverso il tunnel. 
Poi in fondo puoi piangere. Ma non per piangerti addosso. 
Puoi piangere perchè ti sei ritrovato o forse trovato per la prima volta. 
E allora è un pianto di gioia e di dolore allo stesso tempo. La dimensione umana più intima si colloca nella fragilità. E li che si è più forti.

mercoledì 25 marzo 2015

La pazienza

La pazienza, la calma, anche un'obbedienza tranquilla ma attiva, che non è passività, sono in se la forza. 
Si legano a un acquisita capacità di differimento della gratificazione, a un lasciare che gli eventi facciano il loro corso, in modo da far emergere il potenziale.
Certo non è semplice. 
A volte è un mordersi di labbra e un contorcersi di budella. No, non è semplice addomesticare il movimento pulsionale che vorrebbe la sua affermazione.
Tutto questo ha molto a che fare con l'autorità e l'affetto. Se non si è fatta esperienza di un impasto ben fatto di queste due componenti, difficilmente si potrà interiorizzare un oggetto autorevole che sia metabolizzabile e trasformabile nel percorso che conduce alla maturità e alla dimensione adulta.
Ogni tanto la vita mi sorprende quando meno me l'aspetto.

domenica 22 marzo 2015

La poesia


La poesia si nutre della perdita.
Nei colori tenui: un violetto, un porpora, un rosso sfumato troppo presto.
La poesia sorge nella dimensione arcaica delle fantasie e delle intuizioni. Dei sogni. 
Riporta a quello che è ma anche a quello che non è.
Calma e malinconia. Essa si pone a distanza dalla frenetica e spesso ossessiva ripetizione della quotidianità.
Una musica, un arcobaleno, una foglia secca che cade in autunno. Ma oggi è primavera, e piove.
La poesia porta al dolore antico della separazione e lo tramuta in un ideale.
Un abbraccio da raggiungere. Per poi morire.

mercoledì 25 febbraio 2015

Così, tanto per dire

Il silenzio è d’oro dicono. A volte si, a volte no.
Il silenzio della bocca del saggio dona spazio, a volte calore, a volte comprensione.
Ma a volte il silenzio è legato all’astio. E allora ha i colori della lama che taglia. Una lama fredda e lucente che penetra e fa male.
Fredda come la bora che soffia fuori dalla finestra.
Est, nord est, in questo lembo di terra dello stivale. Dimenticata a volte, Trieste, o forse troppo orgogliosa per farsi ammirare.
La bora soffia forte e spazza alberi e moli, capelli e briciole di pane che si buttano ai passeri.
La bora rende arido il terreno, spiana l’erba a ciuffi, un po’ come la neve che lascia sul terreno  il manto verde schiacciato. Come un berretto sui capelli.
Ho freddo in questo silenzio.
A volte provo noia perché la vita è emozioni e dinamismo, ma non sempre è permesso.
Le emozioni le cerco così nella natura, nel silenzio delle colline carsiche, in un tramonto a picco sul mare, in una lettera, in una foto, in un racconto.
Quindi la vita a volte è noiosa, a volte è tortuosa, a volte è dolorosa, a volte è gioiosa, a volte…. Perché la vita è punto e basta.
Ma del resto ci sono vite e vite.
Ho appena finito di leggere un libro che racconta della vita di Madre Teresa di Calcutta: i poveri, lei, Gesù Cristo, la preghiera, la lebbra, tanto amore, affetto ai diseredati, tanto sacrificio e pienezza nel cuore. Una matita nella mani di Dio, come lei amava definirsi.
Riflettevo tra quelle pagine dense di significato e mi sono detto che la sola cosa che fa la differenza tra una vita e un’altra è la capacità di viverla in profondità.
Perché Dio ha un progetto per ognuno di noi. Un piano al quale ci avviciniamo lasciandoci alle spalle l’io, io, io infantile.
La frustrazione fa crescere, anche l’affetto fa crescere.
Il bastone e la carota ben miscelati fanno crescere.
Se è solo bastone non va bene, come nemmeno non va bene solo la carota.
Autorità e affetto per dirla un po’ meglio.
Il vuoto allora si colma e si diluisce nell’incontro con l’altro.
Quando si riesce ad accettare di farsi calpestare il proprio giardino, non resistendo al dolore che ne deriva.
E’ ovvio, farsi calpestare non sempre e non da chiunque. Sarebbe autolesionismo e moto contrario alla vita e alla sopravvivenza. Ma con qualcuno ne vale la pena, per raccogliere i frutti quando sarà stagione. Per amore. Per dare un senso a una vita che sennò non avrebbe senso.
Che me ne faccio di una casa, di una macchina costosa, di abiti firmati, di telefonini, tablet di ultima generazione se tutto quello che sta in mezzo a queste cose materiali è vuoto, inospitale, freddo, algido?
A me pare che oggi sia questa la dimensione imperante, di un vuoto non percepito, in cui la componente materiale ha sostituito la componente più impalpabile dei simboli e dei significati. Manca il respiro, manca lo spazio, manca un fine, in questa corsa collettiva al possesso e all’ultimo grido.
O forse il fine è proprio non pensare, non porsi quelle domande fondamentali che possono far male, non ricercare, alienare il dolore dell’esistenza e della crescita, per rimanere nell’inconsapevolezza che la vita non è eterna.
Eppure siamo tutti in cammino, anche se a volte non ce ne rendiamo conto. Stiamo tra cielo e terra, su di un piccolo pianeta in movimento vorticoso e dinamico che attraversa lo spazio siderale in espansione.
Chissà quale sarà la nostra meta. Chissà ...