martedì 23 aprile 2013

Apnea

Ho l’immagine nella mia mente del mare blu scuro che mi stava addosso incutendomi timore. Stavo a circa 8 metri di profondità in una delle poche immersioni in apnea che ho fatto in vita mia.

Li sotto si è un’altra dimensione. 

Ci si trova immersi letteralmente nella solitudine. Soli con se stessi e il mare immenso che grava sopra.

Il sole si intravvede oltre la superficie e riverbera i raggi a seconda delle onde. Ci si sente piccoli mentre la vastità è intorno. Quello che conta sono i propri polmoni e niente più.

Solo arrivare fino a li sotto non è facile. 

Ci vuole un po’ di allenamento. Ci si rilassa in superficie, si prende una buona boccata d’aria, poi lentamente ci si immerge con delle pinnate lente e progressive, senza frenesia, compensando la pressione nelle orecchie.

Qui da noi, nell’alto Adriatico, a Trieste, il mare è spesso torbido, non scorgi il fondo e quindi è un po’ un’immersione alla cieca, nella nebbia delle alghe e del limo sospeso. 

E non sai quanto manca ad arrivare al fondo. 

Laggiù, tra la sabbia, i ciottoli, e i ricci di mare,  ci trovi i canestrelli. 

Li devi un po’ cercare e dipende dalla zona. A volte trovi un banco di sabbia in cui sono numerosi, a volte per trovarne uno devi immergerti tre volte.

Poi, la sera quei mitili gratinati li trovi buonissimi perché portano dentro di se la fatica della ricerca e la soddisfazione della raccolta.

Non hanno lo stesso sapore di quelli comprati facilmente al mercato.
Andare in profondità, nel mare come nella vita, costa fatica e richiede motivazione.

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