mercoledì 9 dicembre 2009

Lucciole di Natale


La musica suonava piano oltre il vento. Era una canzone natalizia che usciva da un carillon.

Lei ascoltava.
Stava seduta sul divano. Sola come sempre.
Fuori era buio e la neve era appena caduta.
Era una neve di pan di zucchero. Una neve velata.
Nella mente le si affollavano i ricordi.


Fuori dalla grande finestra contava le luci, che costellavano il paesaggio.

Erano le luci di Natale, come lucciole di una notte di mezza estate. Le lucciole della sua giovinezza che da tanti anni non riusciva più a vedere. Prati infiniti, ingranditi e belli nei ricordi dei decenni, pieni di puntini di luce in movimento, che danzavano nella sinfonia della natura notturna.


A volte, quella volta, tanti anni fa, ad osservarli, le sembrava di vivere nel sogno ed a difficoltà riusciva a scorgere il sottile confine che la separava dalla realtà della sua giovinezza.
Ora, adesso, le tante tante luci li fuori, che allora nella sua fantasia di bambina erano lucciole.
Le sembrava di volare, anche lei coperta di luce, con ali fragili, appena nate, attraverso tutti quegli anni che sembravano secoli.
La stufa crepitava, emanando un fuoco dolce e caldo.


Anna...


Il faggio dava la fiamma, mentre il rovere formava la brace e lei, come sempre, con la maestria dell’esperienza, aveva preparato la stufa mescolando le due essenze.
Ora stava seduta ad osservare il fuoco e ad assaporarne il tepore, mentre fuori i fiocchi di neve cadevano. Come voleva il Natale.

C’era silenzio nella casa.

L’albero di Natale della sua infanzia non conosceva l’elettricità, ne tanto meno le intermittenze. Era un albero vivo, fatto di elementi naturali, di ninnoli di legno colorato a mano e di candele.
Un albero fatto di miracoli.


La casa della sua infanzia era vicino ad una grande falegnameria.
Sentiva ancora nell’odore dei ricordi, il buon profumo del legno appena tagliato e rivedeva le ciglia colme di segatura del capomastro.
Lui, le regalava affettuosamente dei piccoli ritagli di legno, che il suo papà poi intagliava per le decorazioni natalizie di tanti anni fa.


Anna...


Quella sera era la sera dei ricordi. Era la notte di Natale. C’erano tante lucciole che roteavano, probabilmente nella sua fantasia, o chissà forse nella realtà, come tanti anni prima. Troppi anni. Troppi vissuti in un silenzio surreale.

Così, forse per il volteggiare candido di quelle fantasione lucciole che avevano rapito la sua mente, decise di scrivere une lettera che non aveva mai scritto.


Prese carta e penna.

All’inizio roteò titubante la penna tra le mani, ma poi, piano piano, sentì che da dentro qualcosa la trasportava, in un vortice di emozioni perdute ed ora ritrovate.
Ed iniziò a scrivere.

Cara Anna,
oggi sono qui sola, a guardare nella mia fantasia le comete della vita. Quelle che lasciano una scia di speranza nel cielo stellato per poi svanire, lasciandoci nell’incertezza di un loro futuro ritorno o addirittura nell’insicurezza della loro effettiva esistenza.
Mi rendo conto solo ora che la cometa più importante della mia vita sei stata tu. Avrei dovuto scorgere la tua luce quando ti avevo davanti e capire che eri  nata per illuminare la mia esistenza con la tua coda splendente.
Ma non avevo occhi per vedere, ne cuore per sentire.
Guardavo le tue tenere manine ed i tuoi occhi, chiedere un amore che non potevo darti perchè non l’avevo. Mi dispiace.
Più tu chiedevi e più mi rifiutavo. Più tu piangevi e più mi sottraevo.
Dal mio seno ti ho donato del latte inaridito e, solo ora me ne rendo conto, non ti ho dato affetto.
Per me l’importante era insegnarti una giusta direzione morale, un’educazione impeccabile.
Il mio mondo era rigido, fatto di pietra e di pilastri di cemento armato che non lasciavano vie di fuga.

Dei pilastri da scalare con le unghie che ho consumato in tutta la mia vita e che, alla fine, non mi hanno portato in cima.
Quando ti sgridavo e ti picchiavo perché non eccellevi in qualcosa, sfogavo la mia ira su di te. Eri tu l’unico essere vulnerabile su cui io allora potessi riversare la mia rabbia verso il mondo.
La mia frustrazione  in quei momenti trovava l’occasione di una via d’uscita concreta e giustificabile.  Non sono stata abbastanza forte per far fronte al mondo, ne ho mai avuto la forza per difenderti, per proteggerti, per amarti.
La via più facile ed indolore e stata credere che fosse il mondo a essersi messo contro di me.
Il destino con le sue dure prove.
Il destino a portarmi una gravidanza non voluta.
Il destino a dover lavorare di un lavoro umiliante.
Il destino a mantenere e dover crescere una figlia indesiderata.

Tu eri la mia colpa.
Anna...
Oddio quante parole mi sorgono adesso. Se solo avessi capito prima.
Ora sono qui a ripensarti, a ricrearti come quella figlia che, in fondo, non ho mai avuto e che solo adesso potrei amare. Qui, davanti a questo fuoco che devo tenere acceso per riscaldarmi il cuore. Durante la tua adolescenza non capivo la tua debolezza. Volevo la tua strada diritta e non accettavo le curve e i cambi di direzione che la tua età imponeva. Ti volevo risoluta e ferma, con una direzione già decisa.
Ti pretendevo quella che io non ero mai stata.
Ed or, mi chiedo, cosa resta?
Davanti a me il fuoco arde.
Tu, Anna, sei volata via non appena hai avuto la tua occasione. Con un semplice pretesto, quando hai trovato un minimo appiglio per prendere il volo da me e da quell’unico nido fatto di spine in cui ti avevo imprigionato.
Dopo anni di tormenti e di tornanti hai costruito la tua vita lontano da me.

Non ricordo nemmeno più l’ultima volta in cui ti ho vista.
Però, ce l’hai fatta. Sei riuscita a vincere.

Anna, abbiamo ancora qualcosa da dirci?
In fondo, forse solo io vorrei dirti ancora qualcosa. Vorrei averti lasciato qualcosa di me. Vorrei averti lasciato qualcosa di buono da porarti nel cuore.

Me ne rendo conto adesso che posso volerti bene. In questa notte di Natale del 1975.
Ti dico solo questo Anna: perdonami.

Tua madre.

Posò la penna e con perizia, quella che l’aveva contraddistinta per tutta una vita, piegò la lettera e la mise nella busta già indirizzata.
Lasciò la lettera sul tavolo e si distese sul divano. Di fronte al fuoco. Chiuse gli occhi, il suo respiro si fece profondo e lento, sempre più lento e due ultime lacrime di gioia rigarono le sue guance. Spirò così, impercettibilmente e serenamente, sola, nel silenzio rotto dal crepitio della legna che ardeva.

 

Fuori la neve continuava a cadere. Teneri fiocchi si univano l’un l’altro per formare fiocchi sempre più grandi e sempre più bianchi.
Sembrava, a chi l’avesse visto, uno scenario surreale. I fiocchi cadevano lentamente, mentre intorno roteavano tante lucciole. Milioni di lucciole, lucciole vere, donavano la loro luce al miracolo del Natale illuminando il presente, il passato, il futuro.
Erano le lucciole di Natale.


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