Sono nata dalla terra nuda frustata dal vento.
Dalla collina osservo il mare dove la spuma delle onde si intreccia con il bianco candido delle nuvole e nelle sere d’autunno assaporo il rosso fuoco del tramonto all’orizzonte.
Vivo tra cielo e terra.
Affondo le mie radici nella tradizione per spingere le mie fronde in alto, come ad alzarmi in volo.
Aspetto l’estate con impazienza per poter crescere e germogliare e vivere nuovamente dopo l’inverno gelido che mi ha visto spoglia.
Quassù, sulla collina, nel silenzio della mia vigna, il sole mi culla nei mesi caldi, la mia linfa scorre velocemente, le gemme si fanno tralci ed amorevolmente dono la mia energia per fruttificare.
Nella calura estiva aspetto la pioggia che maturi gli acini e cullandomi nell’infinita alchimia della mia natura trasformo ciò che e’ aspro in dolce.
Poi le giornate si accorciano e quando gli uccelli si allontanano alla mia vista so che e’ tempo di prepararmi.
Allora cento mani premurose mi accarezzano per cogliere i grappoli succulenti.
Ho portato a termine il mio compito ed ora potrò riposare.
Di nuovo.
Come l’anno precedente e come ancora l’anno prima.
Questa è la mia vita.
Artigiani sapienti si prenderanno cura dei miei frutti e li trasformeranno in vino, secondo regole tramandate di padre in figlio.
Le cantine si riempiranno del dolce odor di mosto lasciato a fermentare. Odore d’autunno ancor mischiato alla fragranza estiva, odore di festa con un retrogusto di leggera malinconia per un passato che svanisce mentre il nuovo sta nascendo. Il sole, il calore e la luce si tramuteranno in riposo, quiete e buio dell’invecchiamento nei barili.
Solo dopo anni il mio vino sarà gustato.
Sotto la luna fredda ed austera d’inverno, sulla collina, a volte sogno quel momento e nel mio sonno come un’esaltazione mi assale.
Sogno un sommelier che, in un rituale secolare, afferra con mani sicure la bottiglia polverosa e senza bruschi movimenti affonda, in sinuose giravolte, il verme del cavatappi nel turacciolo di sughero, soffermandosi un istante ad ogni giro perchè il momento sia più sacro.
I commensali attendono impazienti. Nel silenzio, uno schiocco secco rompe l’attesa generale ed il sommelier porta il tappo al naso. Tutto è a posto. Il calice panciuto è pronto sulla tavola ad accogliere il mio vino. Finalmente.
Ecco che scorre fluido lungo il bordo di cristallo producendo un rumore quasi impercettibile nella sala.
Il sommelier sorregge il calice ed osserva. Il vino è di un rosso rubino intenso con qualche riflesso violaceo ed una nota d’arancione frutto dell’invecchiamento. Lui si porta il calice al naso ed inspira, socchiudendo gli occhi per cogliere i profumi più diretti ed immediati, ruota il bicchiere ed annusa nuovamente i profumi più profondi. Senza fretta.
Poi sorseggia lentamente. Trattiene in bocca il vino e lo rigira con la lingua afferrandone le sensazioni gustative. Lo assapora fino in fondo. Infine deglutisce estasiato.
Qui il mio sogno inizia a diluirsi tra parole che si fanno lontane, in un miscuglio di aromi e di sottili sfumature, con un retrogusto onirico di profumi raffinati ed eleganti che rimangono impressi nella mia memoria.
Mi risveglio nell’umido silenzio notturno ad osservare lo scorrere del tempo, mentre gli uomini si compiacciono della mia essenza di fronte ad un camino acceso. Sorreggono il calice e lo riscaldano tra le mani per liberare i vapori alcolici della mia natura più profonda e raffinata ed una parte di me sale verso l’alto, come il mio pensiero che torna ad una nuova estate ed ad una nuova vita.
Dalla collina osservo il mare dove la spuma delle onde si intreccia con il bianco candido delle nuvole e nelle sere d’autunno assaporo il rosso fuoco del tramonto all’orizzonte.
Vivo tra cielo e terra.
Affondo le mie radici nella tradizione per spingere le mie fronde in alto, come ad alzarmi in volo.
Aspetto l’estate con impazienza per poter crescere e germogliare e vivere nuovamente dopo l’inverno gelido che mi ha visto spoglia.
Quassù, sulla collina, nel silenzio della mia vigna, il sole mi culla nei mesi caldi, la mia linfa scorre velocemente, le gemme si fanno tralci ed amorevolmente dono la mia energia per fruttificare.
Nella calura estiva aspetto la pioggia che maturi gli acini e cullandomi nell’infinita alchimia della mia natura trasformo ciò che e’ aspro in dolce.
Poi le giornate si accorciano e quando gli uccelli si allontanano alla mia vista so che e’ tempo di prepararmi.
Allora cento mani premurose mi accarezzano per cogliere i grappoli succulenti.
Ho portato a termine il mio compito ed ora potrò riposare.
Di nuovo.
Come l’anno precedente e come ancora l’anno prima.
Questa è la mia vita.
Artigiani sapienti si prenderanno cura dei miei frutti e li trasformeranno in vino, secondo regole tramandate di padre in figlio.
Le cantine si riempiranno del dolce odor di mosto lasciato a fermentare. Odore d’autunno ancor mischiato alla fragranza estiva, odore di festa con un retrogusto di leggera malinconia per un passato che svanisce mentre il nuovo sta nascendo. Il sole, il calore e la luce si tramuteranno in riposo, quiete e buio dell’invecchiamento nei barili.
Solo dopo anni il mio vino sarà gustato.
Sotto la luna fredda ed austera d’inverno, sulla collina, a volte sogno quel momento e nel mio sonno come un’esaltazione mi assale.
Sogno un sommelier che, in un rituale secolare, afferra con mani sicure la bottiglia polverosa e senza bruschi movimenti affonda, in sinuose giravolte, il verme del cavatappi nel turacciolo di sughero, soffermandosi un istante ad ogni giro perchè il momento sia più sacro.
I commensali attendono impazienti. Nel silenzio, uno schiocco secco rompe l’attesa generale ed il sommelier porta il tappo al naso. Tutto è a posto. Il calice panciuto è pronto sulla tavola ad accogliere il mio vino. Finalmente.
Ecco che scorre fluido lungo il bordo di cristallo producendo un rumore quasi impercettibile nella sala.
Il sommelier sorregge il calice ed osserva. Il vino è di un rosso rubino intenso con qualche riflesso violaceo ed una nota d’arancione frutto dell’invecchiamento. Lui si porta il calice al naso ed inspira, socchiudendo gli occhi per cogliere i profumi più diretti ed immediati, ruota il bicchiere ed annusa nuovamente i profumi più profondi. Senza fretta.
Poi sorseggia lentamente. Trattiene in bocca il vino e lo rigira con la lingua afferrandone le sensazioni gustative. Lo assapora fino in fondo. Infine deglutisce estasiato.
Qui il mio sogno inizia a diluirsi tra parole che si fanno lontane, in un miscuglio di aromi e di sottili sfumature, con un retrogusto onirico di profumi raffinati ed eleganti che rimangono impressi nella mia memoria.
Mi risveglio nell’umido silenzio notturno ad osservare lo scorrere del tempo, mentre gli uomini si compiacciono della mia essenza di fronte ad un camino acceso. Sorreggono il calice e lo riscaldano tra le mani per liberare i vapori alcolici della mia natura più profonda e raffinata ed una parte di me sale verso l’alto, come il mio pensiero che torna ad una nuova estate ed ad una nuova vita.
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