Spesso
mi soffermo sul concetto di ‘spessore’
Non parlo di spessore del tavolo su cui sto posando i gomiti e
il mio notebook, circondato dal rumore della pioggia fuori dalle ampie finestre
dell’ufficio e dagli altri click di dita che battono su altre tastiere
Colleghi di altre nazioni, giapponesi, pakistani, egiziani, che
parlano con i loro collaboratori e amici lontani, in altre lingue e altre
culture
Per 'spessore' intendo lo spessore di vita
E’
difficile quindi comprendere cosa intendo per ‘spessore’
Ci pensavo anche stamane, mentre con la macchina mi sono fermato
allo stop vicino alla grande chiesa nel centro del paesino carsico di
Basovizza, paese dove ha sede il centro di ricerca internazionale presso il
quale lavoro.
All’interno la chiesa è buia e a volte ci sono andato all’ora di
pranzo a contemplare il crocifisso nella penombra e a pensare alle Sue pene.
Tutto va preso con equilibrio.
Gli
eccessi non sono per me. Mi destabilizzano.
Mi eccitano e pure mi attraggono, ma non sono per me.
Un limite legato ai miei retaggi d’infanzia e a vissuti troppo forti.
Mi eccitano e pure mi attraggono, ma non sono per me.
Un limite legato ai miei retaggi d’infanzia e a vissuti troppo forti.
Lo spessore è sentire dentro di sé la propria esistenza, gli
anni passati, il proprio bagaglio di vita.
Lo spessore dà sicurezza e una certa dose di autorevolezza.
Permette di dire «ho vissuto, qualcosa so, quello che ti dico ha valore, se vuoi accettalo, non è superbia, non è autoreferenzialità, ma esperienza di vita che ho attraversato».
Lo spessore dà sicurezza e una certa dose di autorevolezza.
Permette di dire «ho vissuto, qualcosa so, quello che ti dico ha valore, se vuoi accettalo, non è superbia, non è autoreferenzialità, ma esperienza di vita che ho attraversato».
Senza spessore si vive esclusivamente nel presente, si è
bandierine che girano a seconda del vento.
Si è puntiformi e deboli.
Fragili vittime delle intemperie spesso inclementi della vita.
Si è puntiformi e deboli.
Fragili vittime delle intemperie spesso inclementi della vita.
Qualcuno inneggia alla felicità come alla meta da raggiungere.
A me la felicità non interessa particolarmente, almeno per come
oggi viene intesa questa parola.
La sento una parola vuota, fredda, evocatrice di cose frivole e superficiali.
Mi
interessa invece la pienezza, la gioia autentica, l’amicizia, la solidarietà,
la condivisione. Se poi questa condizione si vuol chiamare felicità, beh,
allora ben venga la felicità.
Però oggi mi pare che a parlare di queste cose si sia in pochi.
Forse perché sono cose forse difficili da gestire.
Forse perché sono cose forse difficili da gestire.
E’ difficile districarsi tra i vari problemi concreti della vita
e scorgere dei margini sufficientemente ampi per poter pensare a qualcos’altro
che non sia sbarcare il lunario, pagare le bollette, andare d’accordo con i
figli, non litigare con la moglie e chi ne ha più ne metta.
Perché quindi perdere tempo a pensare a cose astratte e considerate da tanti inutili perdite di tempo?
Perché quindi perdere tempo a pensare a cose astratte e considerate da tanti inutili perdite di tempo?
Però posso dire per la mia esperienza di vita che quello che
conta in fondo è solo il proprio spazio interiore.
Quanto più è ampio per accogliere l’altro, per accoglierti,
tanto più sono sereno, tanto più mi sento sicuro, tanto più mi sento forte,
tanto più vivo in profondità, tanto più ti voglio bene.
La profondità comunque costa.
Costa che cosa?
Costa dolore.
Il dolore è il prezzo da pagare
per vivere una vita a cui si permette di avere un significato.
Nessun commento:
Posta un commento