mercoledì 25 febbraio 2015

Così, tanto per dire

Il silenzio è d’oro dicono. A volte si, a volte no.
Il silenzio della bocca del saggio dona spazio, a volte calore, a volte comprensione.
Ma a volte il silenzio è legato all’astio. E allora ha i colori della lama che taglia. Una lama fredda e lucente che penetra e fa male.
Fredda come la bora che soffia fuori dalla finestra.
Est, nord est, in questo lembo di terra dello stivale. Dimenticata a volte, Trieste, o forse troppo orgogliosa per farsi ammirare.
La bora soffia forte e spazza alberi e moli, capelli e briciole di pane che si buttano ai passeri.
La bora rende arido il terreno, spiana l’erba a ciuffi, un po’ come la neve che lascia sul terreno  il manto verde schiacciato. Come un berretto sui capelli.
Ho freddo in questo silenzio.
A volte provo noia perché la vita è emozioni e dinamismo, ma non sempre è permesso.
Le emozioni le cerco così nella natura, nel silenzio delle colline carsiche, in un tramonto a picco sul mare, in una lettera, in una foto, in un racconto.
Quindi la vita a volte è noiosa, a volte è tortuosa, a volte è dolorosa, a volte è gioiosa, a volte…. Perché la vita è punto e basta.
Ma del resto ci sono vite e vite.
Ho appena finito di leggere un libro che racconta della vita di Madre Teresa di Calcutta: i poveri, lei, Gesù Cristo, la preghiera, la lebbra, tanto amore, affetto ai diseredati, tanto sacrificio e pienezza nel cuore. Una matita nella mani di Dio, come lei amava definirsi.
Riflettevo tra quelle pagine dense di significato e mi sono detto che la sola cosa che fa la differenza tra una vita e un’altra è la capacità di viverla in profondità.
Perché Dio ha un progetto per ognuno di noi. Un piano al quale ci avviciniamo lasciandoci alle spalle l’io, io, io infantile.
La frustrazione fa crescere, anche l’affetto fa crescere.
Il bastone e la carota ben miscelati fanno crescere.
Se è solo bastone non va bene, come nemmeno non va bene solo la carota.
Autorità e affetto per dirla un po’ meglio.
Il vuoto allora si colma e si diluisce nell’incontro con l’altro.
Quando si riesce ad accettare di farsi calpestare il proprio giardino, non resistendo al dolore che ne deriva.
E’ ovvio, farsi calpestare non sempre e non da chiunque. Sarebbe autolesionismo e moto contrario alla vita e alla sopravvivenza. Ma con qualcuno ne vale la pena, per raccogliere i frutti quando sarà stagione. Per amore. Per dare un senso a una vita che sennò non avrebbe senso.
Che me ne faccio di una casa, di una macchina costosa, di abiti firmati, di telefonini, tablet di ultima generazione se tutto quello che sta in mezzo a queste cose materiali è vuoto, inospitale, freddo, algido?
A me pare che oggi sia questa la dimensione imperante, di un vuoto non percepito, in cui la componente materiale ha sostituito la componente più impalpabile dei simboli e dei significati. Manca il respiro, manca lo spazio, manca un fine, in questa corsa collettiva al possesso e all’ultimo grido.
O forse il fine è proprio non pensare, non porsi quelle domande fondamentali che possono far male, non ricercare, alienare il dolore dell’esistenza e della crescita, per rimanere nell’inconsapevolezza che la vita non è eterna.
Eppure siamo tutti in cammino, anche se a volte non ce ne rendiamo conto. Stiamo tra cielo e terra, su di un piccolo pianeta in movimento vorticoso e dinamico che attraversa lo spazio siderale in espansione.
Chissà quale sarà la nostra meta. Chissà ...

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