mercoledì 20 febbraio 2013

Il senso dell'abisso

L’abisso è una presenza assenza.
L’ abisso è subdolo. 
Mi guardo intorno. A volte è colore e gioia, altre è oscurità.
 
Nella sostanza però fuori è tutto uguale. Il mondo permane immutato.
Non è l’atmosfera che cambia, non sono i fiori o i frutti che si ridipingono, non sono le facce delle persone che si tramutano in nuove espressioni.
 
No. Il mondo non cambia. Rimane lo stesso con i suoi cicli e con il suo ritmo, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, mese dopo mese, anno dopo anno.
 
Chi cambia sono io. Chi cambia è mio mondo interiore.
 
Chi sono io?
 
Vedo spesso serpeggiare questa domanda nelle pagine dei siti internet della nuova era. La New Age.
L’era del vuoto esistenziale dove ci cerchiamo tutti, sperando di ritrovarci nei miraggi di una nuova luce o di una nuova disciplina meditativa, meglio se orientale dai sapori spirituali.
Spesso è solo uno specchio per le allodole fatto di promesse che non verranno mantenute. Di aspettative deluse, tenute celate per eludere un confronto col dolore.
Pagine su pagine scritte di nulla, vuote, immateriali. Evanescenti. Miraggi irraggiungibili professati da qualche guru, ascoltate da gente bisognosa.
L’abisso esiste e agisce. Sta sempre davanti o a fianco. E spesso è invisibile.
 
L’abisso è una percezione affettiva silenziosa e misteriosa.
Se diviene visibile si è una nuova dimensione. Uno squarcio nella terra stabile. Una crepa senza fine. Sono i fantasmi o gli incubi resisi concreti di un dormiveglia di primo mattino. E' un precipizio senza fondo. Una vertigine che fa tremare tutto.
 E’ catastrofe.
E’
  il senso di colpa che è stato iniettato nella prima infanzia. E’ conflitto tra il fuori e il dentro. Mani che abbracciano per contenere il nulla.
Davanti c’è solo rarefazione, vuoto, depressione, paradosso.
Il paradosso è voler sbarazzarsi dell’abisso girando la testa,  per non guardarci dentro. Paradosso è non confrontarsi con la paura del cadere mentre si sta già cadendo.
 
E’ lasciarsi attrarre dai miraggi facili, sperando di trovare in una felicità spicciola e a buon mercato una redenzione impossibile, perpetuata a forza di frustate sulla propria schiena, per illudersi di una liberazione e una leggerezza prive di spessore.
L’abisso non ha bisogno di bacchette magiche. Anzi, le schernisce e ci si diverte.
L’abisso del dolore ha bisogno di essere attraversato, con tutto l’orrore e la paura che ciò comporta. Una discesa e una salita nell’inferno, nel purgatorio e nel paradiso.
Il problema non è solo individuale, oggi è anche sociale.
 
Per il dolore non c’è spazio ne contenimento. Si elude così il bisogno di affetto, di calore, di contatto, di un'umanità alla deriva.
Così facendo ci si priva della profondità dell’esistenza e non si supera quel muro invisibile rappresentato dalla paura.

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