Concretezza nelle sue varie
interpretazioni versus ineffabilita’, versus capacita' immaginativa, versus
capacita' di elaborazione mentale. I bambini oggi sono soggetti a modelli poco
concreti. Modelli virtuali non in carne e ossa, ma proiettati nelle loro menti
dalla luce fosforescente dei media televisivi. Modelli incistati dalla
pubblicita’, dai fisici scolpiti o dalla magrezza estrema, modelli di
comportamento e di vita inariditi dalla velocita’, dallo svuotamento del
contenuto e anche dalla tecnologia. Modelli che spianano la strada alla
frustrazione adulta perche' difficilmente potranno essere equiparati e
raggiunti, proprio perche' fittizzi, creati e non reali. C’e’ una lunga
scia di anaffettivita’ dilagante. L’affetto sembra cosi' una preoccupazione.
Qualche cosa da gettarsi alle spalle, come il sale che si gettava dietro per
superstizione mia nonna quando le regalavano un fazzoletto nuovo. Le
preoccupazioni si gettano alle spalle. Anche la responsabilita' viene
gettata alle spalle allo stesso modo. Chi dovrebbe non prende posizione e cosi'
facendo non fornisce un paletto stabile di riferimento, che sia il genitore che
oggi erroneamente sembra dover per forza essere amico, che sia il capo che non
prende una posizione nei confronti del subalterno con il risultato che in ambito professionale e' tutto un darsi del tu e una pacca sulla spalla poco autentici. Il
Lei dell'Esercito durante la mia leva da ufficiale subalterno del Genio
Guastatori per lo meno non lasciava spazio a dubbi. Chiaro, preciso. Io sto qui
e Lei stai li. Invece oggi e' tutto un dubbio, una pari opportunita' ed un
politically correct. Concretezza. C’e’ assenza. Assenza di un qualcosa di
impalpabile di cui certo si puo' anche essere in parte consapevoli, ma che per
riempire il vuoto che lascia, non si hanno ne i mezzi ne le risorse interne. Un
vuoto dal quale difendersi con tutto cio' di cui si dispone e con tutte le
proprie forze. Le armi a disposizione per la difesa divengono dunque
l'attivita' sfrenata e compulsiva e il benessere materiale e superficiale che
si puo' comprare. L'automobile sempre di ultimo modello, un IPhone new
generation e chi ne ha piu' ne metta, anche una famiglia apparentemente
perfetta in superficie se non poi ritrovarsi con briciole di cristallo in mano
quando la vita presenta il suo conto salato. Ma la cecita' a volte permane
anche ai piu' ardui assalti e si continua a maledire il destino o il fato per
la sfortuna. Manca la capacita' di introspezione ed autocritica. Gli occhi sono
sempre puntati al fuori e mai o poco al dentro. Cosi' non sono io che elaboro
il mondo e le esperienze per divenirne protagonista, ma e' il mondo stesso
protagonista ed io vittima del suo protagonismo ineluttabile. Meglio credere ai
maghi che divenire responsabili del proprio cammino e capire le cause del mio
essere ora. Divago e non ricordo piu' cosa esattamente volevo comunicare,
semmai ci dovesse essere un filo conduttore. Ieri per esempio mi e' venuto in
mente un pensiero leggendo Freud: noi al novanta percento siamo la nostra
fantasia. La fantasia e' eterea, impalpabile, sembra sorgere dal nulla, semmai
potrei dire, dalla creativita'. Il nostro mondo e' fatto di esperienze
fantasmatiche che si sommano le une alle altre, si mescolano e si rielaborano
in un processo di integrazione e successione. Fantasie, capacita' immaginativa,
capacita' di analisi, capacita' di astrazione, capacita' di cogliere e di
soffrire per le sfumature dell'esistenza, sono proprieta' astratte del pensiero
che nel mondo di oggi a molti sembrano poco concrete e prive di utilita'. Come
dire far funzionare la mente e' uno spreco di risorse. Anche il dolore e' in
questa dimensione inutile e assolutamente da evitare con pratiche concrete (che
so, per esempio il pensiero positivo, la pulizia dell'aura?) e infatti
imperversano i santoni profetici con la risposta giusta, i quali sanno
tutto e hanno anche molto seguito. Al vuoto, al dolore ci vuole il rimedio istantaneo,
la formula magica, l'abracadabra. E molti ci credono come credevo io al mago
Silvan nella mia infanzia. Peccato che cosi' facendo si perde buona
parte dell'autenticita' e della profondita' dell'esistenza. Si perde la
capacita' di leggere nelle pieghe del proprio vissuto, si perde la
trasformazione del dolore e anche la possibilita' di accettazione della propria
condizione di essere umano non onnipotente. Quello che voglio dire e' che la
concretezza e la materialita' della vita, per come oggi molte persone la
intendono, è una fuga dal mondo relazionale e affettivo, come dire, teniamoci
l'albero ma non vogliamo sapere niente delle radici. Ma se le radici non
respirano e non sono nutrite a sufficienza l'albero non cresce, anzi si
avvizzisce. Invece cercare, guardarsi dentro, trovare le motivazioni
autentiche, coltivarle, innaffiarle, sorreggerle, e' potenziale latente che
mescolato con l'affetto fiorira' ed apparira' nella sua bellezza, in una
concretezza piu' piena e significativa nella quale non si avvertira' piu' il
vuoto.
mercoledì 14 novembre 2012
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