mercoledì 18 dicembre 2019
Riflessioni in libertà
Ritorno al discorso che ho iniziato con un post di ieri sullo spazio di espressione.
Non credo sia un concetto molto facile da capire e credo che molti non sappiano effettivamente cosa significhi.
Lo spazio richiama il respiro e la libertà, non intesa come il fare ciò che si vuole, ma libertà di essere l’uno di fronte all’altro/a e sentirsi accettati.
Anche in molte famiglie manca uno spazio in cui esprimersi e quindi in realtà c’è molta solitudine.
Questa solitudine è spesso mascherata persino a se stessi, per non soffrire.
Così la vita passa, anche se tu non te ne rendi conto perchè sei perso dietro alla quotidinità e a quelle consuetudini che hanno marcatamente solcato il tuo modo di esistere.
Le abitudini sono degli automatismi esistenziali ed affettivi che diamo per scontati e che in qualche modo ci fanno sentire al sicuro.
Allora il rispondere o ascoltare supercifialmente la moglie, il marito, i figli o qualche altro familiare (o amico) può divenire una routine relazionale, insomma un modo disimpegnato di stare in relazione.
Non si ci ascolta più gli uni e gli altri e si permane fermi in un proprio “autismo” privo di intimità.
L’intimità costa fatica perchè richiede il mettersi un po’ a nudo, entrare un po’ in una dimensione di impermanenza, uscire da una consuetudine per ritrovarsi fragili, ma anche autentici.
Potrebbe definirsi una dimensione che ha lo stupore tipico del bambino, a cui si accosta la maturità dell’adulto.
Ho osservato che con il procedere degli anni c’è una sorta di irrigidimento.
Diviene più difficile fare esperienza di vissuti alternativi.
Diviene più difficile stupirsi.
E diviene più difficile il cambiamento. O forse avendo già fatto esperienza di vita vengono meno le illusioni e le fantasticherie, e ci si deve confrontare con una realtà che non ha più davanti l’orizzonte aperto della gioventù.
Potrebbe sembrare, da queste mie parole, che con gli anni è più difficile mantenere la speranza.
In effetti la speranza dei 20 anni è molto diversa da quella dei 50. Si spera in cose diverse. Se a 20 anni si spera, chessò di fare una qualche carriera, di fare una famiglia ecc. o magari anche superficialmente di comperarsi una bella macchina, a 50 si inizia a tirare le somme di quello che si è fatto. E la speranza si colloca a una dimensione certamente più profonda dell’essere che riguarda anche gli altri, chi sta intorno, in una visione meno autocentrica.
Se prima era “Farò questo, farò quello e spero di riuscirci” dopo diventa “Cosa posso fare per te? Ti posso aiutare? Spero di essere in grado e di averne la forza”.
Gli anni che passano cambiano la visuale e riducono le possibilità di traiettoria. A 20 anni le strade da prendere appaiono più ampie che a 50 anni. Ed in effetti lo sono.
Che c’entra tutto questo con lo spazio di inizio post?
C’entra perchè attraverso uno spazio di espressione adeguato, ci si può riappropriare delle parti più intime di sè e ci si può riconnettere, oltre la coltre del cinismo e della routine, che spesso gli anni e le difficoltà della vita collocano addosso.
Sono proprio quelle parti più intime di noi, le più autentiche, che sanno sperimentare la vita con rinnovato stupore e con rinnovata speranza.
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