L’ispirazione viene fuori nei momenti di raccoglimento. Almeno cosi’
dovrebbe essere. Nel raccoglimento di un divano ed una stufa
scoppiettante, negli attimi rubati dopo aver messo a letto i figli, nel
tepore di una coperta di lana profumata adesso che l’autunno si fa piu’
insistente. Dovrebbe essere cosi’.
Invece a me l’ispirazione viene fuori in sella al mio scooter rombante quando dalla citta’ risalgo le pendici dell’altopiano. Con il gas a manetta e il contagiri al limite. Sto attento a schivare le buche della strada su per la salita e sempre con una mano allerta sui freni perchè non si sa mai che sbuchi fuori qualche cinghiale dal bosco. Su per la via della Bellavista li vedo spesso, i cinghiali, saltare fuori dalla boscaglia. A volte e’ la mamma, con dietro i suoi cucciolotti. Sono tenerissimi ed e’ un dispiacere leggere sul quotidiano locale, di quelli che si lamentano e li vogliono ammazzare. La via della Bellavista poi, dopo la sella di Banne, sbuca nel carso, a Banne per inciso. Secondo me li, ad un punto della salita, si trova il più bel balcone sulla città di Trieste. Pochi lo conoscono. E’ semplicemente uno spettacolo. A qualsiasi ora del giorno. Al tramonto, all’alba, di notte. L’occhio si perde verso il mare a sud, verso le montagne a ovest e verso i meno aspri e verdi pendii carsici ad est.
Invece a me l’ispirazione viene fuori in sella al mio scooter rombante quando dalla citta’ risalgo le pendici dell’altopiano. Con il gas a manetta e il contagiri al limite. Sto attento a schivare le buche della strada su per la salita e sempre con una mano allerta sui freni perchè non si sa mai che sbuchi fuori qualche cinghiale dal bosco. Su per la via della Bellavista li vedo spesso, i cinghiali, saltare fuori dalla boscaglia. A volte e’ la mamma, con dietro i suoi cucciolotti. Sono tenerissimi ed e’ un dispiacere leggere sul quotidiano locale, di quelli che si lamentano e li vogliono ammazzare. La via della Bellavista poi, dopo la sella di Banne, sbuca nel carso, a Banne per inciso. Secondo me li, ad un punto della salita, si trova il più bel balcone sulla città di Trieste. Pochi lo conoscono. E’ semplicemente uno spettacolo. A qualsiasi ora del giorno. Al tramonto, all’alba, di notte. L’occhio si perde verso il mare a sud, verso le montagne a ovest e verso i meno aspri e verdi pendii carsici ad est.
Stasera era gia’ buio che
salivo su con lo scooterone. E vedevo le luci della città li sotto.
Pensavo rilassato. E pensavo all’abbandono. Riflettevo sul lutto. Mi
chiedevo se fosse solo mio questo leitmotiv, se fosse una mia
caratteristica personale, una vena malinconica che spunta fuori a tratti
nella mia vita e fa appunto, da filo conduttore oppure se fosse una
cosa universale comune all’essere umano. Del resto Jung ha parlato di
miti, di leggende, di fiabe che sono rappresentazioni dell’inconscio
collettivo dell’umanità e di tutti i personaggi e le figure fantastiche
che li abitano che sono in realtà gli archetipi universali. Già,
archetipi universali in questa umanità che fa di tutto per essere
singolare, per non riconoscere un’unione, per esasperare il limite che
ormai si e’ perso. Perche’ si è perso? Aiuto, inizio a divagare e le
dita iniziano a scrivere piu’ velocemente. Punto, linea, spazio. La
barra lunga rappresenta un’ancora di salvezza e un indice del ritmo di
battitura. Mi sono accorto dopo anni di pratica al computer, di riuscire
a battere senza guardare. Ho imparato automaticamente, senza scuola, ed
e’ stata una sorpresa. La mente e’ fantastica. Riesce a elaborare e
immagazzinare informazioni senza la consapevolezza cosciente.
Apprendiamo senza fatica. Il problema e’ quando si apprende male e
passivamente. Il che avviene un sacco di volte. Nella famiglie dove
manca affetto, nei bambini maltrattati che non sanno cosa significhi
amore e credono che la vita sia quella li, quella offerta da genitori
affettivamente analfabeti. E come potrebbero credere altrimenti questi
poveri bambini, se non hanno mai visto altro? Apprendimento passivo di
ambienti malati che poi verranno riproposti all’infinito. Karma. Peccato
che i newageani a questo termine diano tratti esotici che poco hanno a
che fare con la realta’. Ma si sa quelli stanno bene solo a navigare
sulla Luna e a dire che basta pensare positivo. Poi appena poggiano i
piedi per terra “ocio de soto” come diciamo qui a Trieste. Poveretti.
Anche loro sono analfabeti.
Nella vita ci vuole concretezza, scontrarsi con le realta’ piu’ scomode, con le realta’ che fanno male, che fanno incazzare. Con le ferite.
Abbandono, Leitmotiv.
No, non e’ solo mio sto benedetto leitmotiv dell’abbandono. E’ un incipit che appartiene a tutti anche se molti non ne vogliono sapere. E allora corrono, corrono e ancora corrono, lasciandosi dietro un vuoto che li attrae. Perche’ la Fisica non perdona. Il vuoto risucchia per pressione negativa. Finche’ non si riempie. Allora gli elementi ritornano in equilibrio. Un equilibrio dinamico di scambio, di conflitto e riappacificazione. Dove non si sono mai conflitti non c’e’ dinamismo e non c’e’ crescita. Come non c’e’ crescita dove ci sono solo conflitti.
La crescita e’ data da una differenza di energia potenziale, dicasi motivazione, da uno stimolo che spinge avanti, possibilmente in alto, da un input che spinge a fare un passo e poi un altro ed un altro ancora fino a che il bambino impara a camminare, poi a correre e a diventare adulto.
Ed infine, a morire.
Colpo basso. Lo so. Ma anche la fine della vita e’ pur sempre naturale. E poi il mio leitmotiv era l’abbandono no? E’ un po’ una vena poetica. Qualcuno potrebbe dire tristezza. Ma no, non e’ tristezza. Assolutamente. E’ consapevolezza che la vita e’ una sinusoide in x, y, z. Tridimensionale. Una sinusoide con una frequenza, con un passato, con un vissuto, che e’ diverso per ognuno, ma anche tanto uguale. L’abbandono alla fine non fa tanto male, se l’incontro e’ stato vissuto, se l’altro e’ stato amato, se ci siamo ascoltati, conosciuti, condivisi Alla fine lasciare andare dovrebbe essere un atto naturale se il percorso e’ stato naturale. Ad ogni modo l’abbandono inutile negarlo, fa male. Un sacco di male. Ci si difende dall’abbandono, o meglio dai sentimenti che l’accompagnano. Chi con la rabbia, chi con l’indifferenza, chi con la depressione. La vena poetica, probabilmente e’ di ognuno, ma se in pochi la scorgono dentro di se e’ perche’ e’ sinonimo di dolore. E il dolore spaventa. Ma il dolore e’ anche quello che ci fa confrontare con la dimensione reale dell’esistenza. Del sono e del saro’. Cosa e come saro’? Non e’ tristezza, direi piu’ curiosita, avidita’ di conoscenza e di assoluto. Forse un pizzico di onnipotenza da controllare, ma niente piu’. Il bambino e’ onnipotente. O meglio, si crede onnipotente nella sua ingenuita’. Vuole l’amore dei genitori, della mamma prima di tutto e lo pretende. Crede di essere il centro dell’universo. Poi nella crescita si scontrera’ con la realta’ che di lui se ne frega assolutamente. Se ha ricevuto affetto, o come dicono gli psicologi, un rifornimento narcisistico adeguato, se la cavera’. Altrimenti sono cazzi suoi, nel senso che se la vedra’ difficile. Affetto ma anche autorita’.
Affetto. Autorita’. Affetto. Autorita’. Affetto. Autorita’.
Conosco molta gente che non riconosce l’autorita’. E sono tutti degli frustrati.
Anche io per molto tempo non ho riconosciuto l’autorita’. E soffrivo da morire. Ero uno frustrato. Pensavo di essere “er meio” e a non meritare di stare sotto.
Adesso credo di essere cambiato. Ma come potevo riconoscere l’autorita’ se non avevo ricevuto affetto?
In sella al mio scooter stasera, ancora prima della famosa salita dei cinghiali, ero fermo al semaforo ed ho avuto un flash (non del semaforo e non dell’autovelox!!!). Ho pensato: “Che brutta la vita senza affetto”. In quel momento mi sentivo bene e pieno di affetto e tutto era piu’ bello e carico di significato. E un peccato non lasciarsi permeare dall’amore per paura di soffrire. Il mondo certo, con l’indifferenza, sara’ sempre pronto a farci cambiare idea, ma siamo sicuri che quel mondo dell’indifferenza non parta anche da noi?
Nella vita ci vuole concretezza, scontrarsi con le realta’ piu’ scomode, con le realta’ che fanno male, che fanno incazzare. Con le ferite.
Abbandono, Leitmotiv.
No, non e’ solo mio sto benedetto leitmotiv dell’abbandono. E’ un incipit che appartiene a tutti anche se molti non ne vogliono sapere. E allora corrono, corrono e ancora corrono, lasciandosi dietro un vuoto che li attrae. Perche’ la Fisica non perdona. Il vuoto risucchia per pressione negativa. Finche’ non si riempie. Allora gli elementi ritornano in equilibrio. Un equilibrio dinamico di scambio, di conflitto e riappacificazione. Dove non si sono mai conflitti non c’e’ dinamismo e non c’e’ crescita. Come non c’e’ crescita dove ci sono solo conflitti.
La crescita e’ data da una differenza di energia potenziale, dicasi motivazione, da uno stimolo che spinge avanti, possibilmente in alto, da un input che spinge a fare un passo e poi un altro ed un altro ancora fino a che il bambino impara a camminare, poi a correre e a diventare adulto.
Ed infine, a morire.
Colpo basso. Lo so. Ma anche la fine della vita e’ pur sempre naturale. E poi il mio leitmotiv era l’abbandono no? E’ un po’ una vena poetica. Qualcuno potrebbe dire tristezza. Ma no, non e’ tristezza. Assolutamente. E’ consapevolezza che la vita e’ una sinusoide in x, y, z. Tridimensionale. Una sinusoide con una frequenza, con un passato, con un vissuto, che e’ diverso per ognuno, ma anche tanto uguale. L’abbandono alla fine non fa tanto male, se l’incontro e’ stato vissuto, se l’altro e’ stato amato, se ci siamo ascoltati, conosciuti, condivisi Alla fine lasciare andare dovrebbe essere un atto naturale se il percorso e’ stato naturale. Ad ogni modo l’abbandono inutile negarlo, fa male. Un sacco di male. Ci si difende dall’abbandono, o meglio dai sentimenti che l’accompagnano. Chi con la rabbia, chi con l’indifferenza, chi con la depressione. La vena poetica, probabilmente e’ di ognuno, ma se in pochi la scorgono dentro di se e’ perche’ e’ sinonimo di dolore. E il dolore spaventa. Ma il dolore e’ anche quello che ci fa confrontare con la dimensione reale dell’esistenza. Del sono e del saro’. Cosa e come saro’? Non e’ tristezza, direi piu’ curiosita, avidita’ di conoscenza e di assoluto. Forse un pizzico di onnipotenza da controllare, ma niente piu’. Il bambino e’ onnipotente. O meglio, si crede onnipotente nella sua ingenuita’. Vuole l’amore dei genitori, della mamma prima di tutto e lo pretende. Crede di essere il centro dell’universo. Poi nella crescita si scontrera’ con la realta’ che di lui se ne frega assolutamente. Se ha ricevuto affetto, o come dicono gli psicologi, un rifornimento narcisistico adeguato, se la cavera’. Altrimenti sono cazzi suoi, nel senso che se la vedra’ difficile. Affetto ma anche autorita’.
Affetto. Autorita’. Affetto. Autorita’. Affetto. Autorita’.
Conosco molta gente che non riconosce l’autorita’. E sono tutti degli frustrati.
Anche io per molto tempo non ho riconosciuto l’autorita’. E soffrivo da morire. Ero uno frustrato. Pensavo di essere “er meio” e a non meritare di stare sotto.
Adesso credo di essere cambiato. Ma come potevo riconoscere l’autorita’ se non avevo ricevuto affetto?
In sella al mio scooter stasera, ancora prima della famosa salita dei cinghiali, ero fermo al semaforo ed ho avuto un flash (non del semaforo e non dell’autovelox!!!). Ho pensato: “Che brutta la vita senza affetto”. In quel momento mi sentivo bene e pieno di affetto e tutto era piu’ bello e carico di significato. E un peccato non lasciarsi permeare dall’amore per paura di soffrire. Il mondo certo, con l’indifferenza, sara’ sempre pronto a farci cambiare idea, ma siamo sicuri che quel mondo dell’indifferenza non parta anche da noi?